Matera

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Chiunque veda Matera,
non può non restarne colpito,
tanto è espressiva e toccante,
la sua dolente bellezza.

Carlo Levi

Da “vergogna nazionale” a Patrimonio dell’Umanità

Le condizioni abitative del centro storico di Matera, conosciuto come Sassi, furono portate alla ribalta nazionale dalla pubblicazione, nel 1945, del libro “Cristo si è fermato a Eboli”, ambientato ad Aliano, un paese della provincia di Matera, dove l’autore Carlo Levi aveva trascorso il periodo di confino durante il fascismo. Solo poche pagine del libro sono in effetti dedicate a Matera e alle condizioni di vita nelle case-grotta dei Sassi, ma sufficienti a farne la drammatica descrizione della città negli anni del suo maggior declino:

“Ogni famiglia ha in genere una sola di quelle grotte per abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini, bestie. (…) Ho visto dei bambini seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie. Era il tracoma. (…) Sembrava di essere in mezzo ad una città colpita dalla peste…”

Richiamati dal clamore del libro, i più noti sociologi, antropologi, giornalisti e intellettuali del tempo (fra i tanti, Pier Paolo Pasolini, Adriano Olivetti, Ernesto De Martino, Manlio Rossi-Doria) visitarono e descrissero Matera, che divenne, suo malgrado, il simbolo dell’arretratezza del Mezzogiorno d’Italia e della “civiltà contadina”. I rioni Sassi divennero oggetto di attenzione per la classe politica, che li visitò e li descrisse come “infamia nazionale” (Alcide De Gasperi, D.C.) e “vergogna d’Italia” (Palmiro Togliatti, P.C.I.), auspicando una soluzione definitiva per la loro sistemazione.

Nel 1952 il Governo De Gasperi promulgò la Legge Speciale nr 619 per il Risanamento dei Sassi, che pur prevedendo inizialmente il recupero dei rioni, di fatto ne provocò il totale svuotamento ed il loro abbandono, con il trasferimento coatto e in massa degli abitanti in nuovi rioni (sia urbani che rurali) appositamente costruiti dallo Stato. In quanto esterni al perimetro dei Sassi, solo gli abitanti del Piano furono esclusi dallo sfollamento.
Dai Sassi non furono trasferiti solo coloro che abitavano in case grotta, ma anche coloro che dimoravano in case costruite, che di fatto costituivano la maggiorparte degli abitanti dei rioni. Le vecchie abitazioni furono quasi tutte espropriate dal Demanio: solo un quinto delle proprietà rimase in capo ai privati. Ancora oggi i Sassi di Matera sono l’unico centro storico in Europa quasi esclusivamente di proprietà statale.
Allo sfollamento seguirono decenni di completo abbandono: i Sassi erano diventati una città fantasma, un guscio vuoto, un ghetto derelitto, deserto e abbandonato, caratterizzato da crolli e degrado, e pur se contigui, completamente avulsi dal resto della città e rimossi dalle menti di chi vi aveva abitato.

Una parte dei materani non si rassegnò al triste destino dei Sassi e all’infamia con cui erano stati superficialmente bollati. Associazioni culturali, intellettuali, politici, comuni cittadini, formarono un movimento di opinione che puntò al riscatto culturale e storico della città. Un serrato dibattito interessò gli anni 70: i Sassi dovevano tornare ad essere una città abitata oppure dovevano diventare un museo di se stessi, senza vita? Si scelse la via del ripopolamento: i Sassi dovevano tornare a vivere. Data la proprietà demaniale quasi totale, fu necessaria una nuova legge speciale del Parlamento, la nr. 771 del 1986, che consentì finalmente di iniziare tale recupero, tuttora in atto. Per la prima volta nella storia si sperimentava una riqualificazione urbana su vasta scala: bisognava far rivivere una città abbandonata che aveva ospitato 18mila persone, recuperando gli edifici storici per destinarli a nuove, moderne funzioni. La formula adottata tuttora prevede anche la concessione gratuita degli immobili demaniali ai privati che si facciano carico delle spese di “risanamento conservativo”.
Ormai consapevole del proprio valore e del proprio patrimonio storico e culturale, la città fu candidata nel 1993 all’iscrizione nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO: solo 7 città italiane erano incluse nella lista e nessuna di queste era a sud di Roma. All’epoca molti bollarono questa iniziativa come audace e velleitaria: erano luoghi considerati dall’opinione pubblica come simbolo del sottosviluppo. Capovolgendo il marchio di “Vergogna Nazionale”, contro ogni miope previsione, i Sassi di Matera furono riconosciuti “Patrimonio Mondiale” e per descriverli fu usata per la prima volta dall’Unesco l’espressione “paesaggio culturale” in quanto: “i Sassi costituiscono una testimonianza unica dell’attività umana. Il preminente valore universale deriva dalla simbiosi fra le caratteristiche culturali e naturali del luogo”.
La rinascita dei Sassi era appena iniziata e avrebbe riservato ulteriori riconoscimenti, inimmaginabili negli anni ‘50.

Introduzione ai Sassi

Il centro storico di Matera è composto da quattro aree:
1. Civita, il più antico nucleo cittadino, dove sorge la Cattedrale;
2. Sasso Barisano, rione ubicato nella vallata che si estende di fronte alla Cattedrale;
3. Sasso Caveoso, rione adagiato nella vallata alle spalle della Cattedrale, a ridosso del canyon Gravina;
4. il Piano, area pianeggiante che incornicia il margine superiore dei rioni Sassi, di sviluppo urbano più recente.

Oggi i rioni Civita, Sasso Barisano e Sasso Caveoso formano un unico complesso urbano genericamente identificato come i Sassi di Matera.
In epoca altomedievale la Civita era ben distinta dai Sassi: la prima costituiva la città propriamente detta, cinta da mura e fortificazioni; i Sassi erano borghi extraurbani adibiti a diverse funzioni. I Sassi di Matera sono il risultato di uno sviluppo urbanistico senza eguali. Gli edifici totalmente costruiti, che normalmente compongono la totalità di uno spazio urbano, qui ne costituiscono solo una minima parte. Nei Sassi di Matera, infatti, le architetture costruite si integrano e si fondono con le architetture scavate. Non si tratta di grotte naturali, ma di ambienti scavati dall’uomo per ottenere sia materiale da costruzione per gli ambienti esterni, che luoghi ipogei particolarmente adatti a diversi usi e funzioni. In alcune zone dei Sassi le parti scavate sono evidenti già ad un primo sguardo; più spesso sono nascoste alla vista da quelle costruite.
Tale inusuale sviluppo urbano è stato favorito dalla natura del territorio, caratterizzato da una roccia facile da scavare e al contempo ottimo materiale da costruzione (la calcarenite), e da ripidi pendii naturali che offrono pareti rocciose da aggredire.
Il risultato è un intricato, complesso e straordinario nucleo urbano, esteso su vari livelli per un totale di 35 ettari, dove le strade corrono sui tetti degli ambienti sottostanti, con un susseguirsi di oltre 3mila strutture, scavate e costruite, adibite a diversi usi nel corso dei secoli, ancora oggi facilmente leggibili agli occhi attenti: palazzi nobiliari, cisterne, cantine, frantoi, scalinate, chiese bizantine, romaniche e barocche, piccole abitazioni e grandi monasteri, case-grotta, cimiteri, piazze, botteghe, campanili, stalle, vicinati, cortili, portali, torri e giardini pensili.

Le fasi storiche

Il territorio materano ha conosciuto una presenza umana continua, che sin dal Paleolitico, si è protratta senza interruzioni sino ai nostri giorni, come testimoniano i reperti conservati al Museo Archeologico Ridola. Alle poche grotte naturali presenti, utilizzate come rifugio nel Paleolitico, si aggiunsero nel Neolitico grotte scavate dalla mano dell’uomo, e la nascita di piccoli villaggi di capanne, i cui resti sono ancora visibili nel Parco della Murgia Materana.
Importanti i ritrovamenti dell’Età dei Metalli, come le celebri “tombe a grotticella” e la monumentale “tomba a doppio cerchio” di Murgia Timone.
Pur essendo dimostrata la continuità della presenza umana nel territorio, rimane incerto il momento in cui si ebbe la nascita di una vera e propria città, dotata di istituzioni, centri religiosi, fortificazioni. Poco suffragata da reperti, fonti e ritrovamenti, è l’esistenza di una città in epoca greca e romana. Solo a partire dall’alto medioevo (VIII sec A.D.) la presenza di una vera e propria città è suffragata da prove inconfutabili: Matera sorse sulla Civita, fortificata sulla sommità di un colle dove oggi sorge la cattedrale. Fuori le mura, nelle vallate del Sasso Barisano e Sasso Caveoso, si distribuivano a maglie larghe i cosiddetti casali, complessi che riunivano strutture residenziali e produttive, che si popolarono con il passare dei secoli.
In epoca rinascimentale i rioni Sassi erano ormai interamente integrati alla Civita, e costituivano gran parte della città. Non si trattava di quartieri sovraffollati e abitati da classi subalterne, come nell’immaginario comune spesso sono dipinti: erano quartieri popolati da tutte le classi sociali, comprese molte famiglie nobili, e la densità abitativa consentiva orti, vigne e giardini. Le parti scavate non erano generalmente destinate ad usi abitativi, in quanto, presentando condizioni di umidità, buio e temperatura costante, risultavano idonee ad utilizzi diversi, quali cantine, frantoi, granai, caciolai, mulini, cisterne per l’acqua, concerie, neviere, stalle. Nelle parti costruite si abitava, nella parte scavata si produceva e si conservava, con qualità e quantità maggiori di città non dotate di strutture ipogee.
Nel 1663 il regno di Napoli disegnò nuovi confini regionali, Matera passò dalla Terra d’Otranto, cui era storicamente appartenuta, alla Basilicata, divenendone “capoluogo”, con favorevoli conseguenze economiche, amministrative, demografiche ed urbanistiche. Nel corso del Settecento la città si estese oltre i Sassi, nella zona del Piano, con chiese barocche, palazzi nobiliari e ricchi monasteri. Fino alla fine del XVIII secolo l’economia locale prosperò grazie all'allevamento transumante soprattutto ovino e caprino su larga scala grazie alla presenza di estesi pascoli  sulle Murge. La produzione laniera che ne derivava, dava luogo a produzioni tessili e coinvolgeva una gran parte della popolazione.
Il primo segnale di decadenza economica per Matera lo si ebbe già con il trasferimento di capoluogo di regione in favore alla città di Potenza (1807) e le leggi contro il clero durante il periodo murattiano. Matera contava una proporzione sostanziale della sua popolazione nel clero e l’espropriazione dei beni della Chiesa, ruppe gli equilibri su cui si era basata la struttura sociale ed economica di Matera.
Il colpo fatale che avviò l’inesorabile decadenza di Matera fu la massiccia produzione di lana australiana che con le concessioni molto favorevoli ai manufatti inglesi decretate dal Congresso di Vienna permise all’Inghilterra di inondare il continente europeo con i suoi prodotti a prezzi competitivi, mettendo in ginocchio l’industria laniera di vaste contrade del Mediterraneo, inclusa Matera.
Le condizioni di vita della popolazione urbana, progressivamente si deteriorarono, in particolare nei ceti sociali più poveri, e spesso la forte domanda di spazi abitativi fu risolta con un’occupazione sempre più densa delle esistenti strutture. Le strutture scavate dei Sassi, che nei secoli erano state destinate a diverse attività, generalmente produttive, ed ormai inadeguate a tale funzione, diventarono quindi la soluzione immediata e a basso costo per soddisfare tali necessità. Molte grotte, un tempo cantine, frantoi o stalle, diventarono case-grotta, che arrivarono ad ospitare fino a 4mila persone su un totale di 18mila abitanti dei Sassi, ormai sovraffollati. Nelle case grotta spesso la famiglia coabitava con un mulo, necessario per raggiungere i campi, e altri animali domestici come le galline, aggravando le condizioni di vita, già difficili.
Nella lunga storia dei Sassi, è questo l’ultimo fotogramma prima dell’abbandono.

Patrimonio Culturale

Le architetture scavate di Matera sono migliaia e sono state suddivise  in differenti tipologie. Non è uno schema rigido, in quanto in base alle convenienze dell’epoca si adattava lo scavo ad una nuova destinazione d’uso e dunque ogni cavità conserva tracce appartenenti a diverse tipologie. Pur se quasi tutte le grotte del territorio sono state scavate dall’uomo, e sono quindi vere e proprie architetture, sono presenti importanti eccezioni. Si tratta di cavità carsiche originate dall’azione dell’acqua lungo la linea di separazione fra due diversi strati calcarei di durezza differente, ed utilizzate in epoca preistorica come luoghi di sepoltura o di culto.
La più celebre è la “Grotta dei Pipistrelli” che si apre lungo il fianco del canyon della gravina a pochi Km di distanza dai Sassi. Frequentata sin dal Paleolitico, è caratterizzata dal continuo stillicidio dell’acqua, dalla presenza di pipistrelli e da interi tratti percorribili solo a carponi. Difficilmente raggiungibile senza una guida, è stata oggetto di importanti scavi archeologici, i cui reperti sono esposti presso il Museo Ridola.

La friabilità della roccia locale ha permesso lo scavo sin dal Neolitico, con l’utilizzo di soli attrezzi litici. Non si abitava in grotta ma in villaggi formati da capanne, spesso racchiusi da profonde trincee.
Sono ancora ben visibili invece le trincee degli insediamenti neolitici (si pensa che fossero destinati sia ad usi residenziali che di allevamento) e le “tombe a grotticella” dell’età dei metalli.
Il Villaggio neolitico di Murgia Timone, nei pressi di Jazzo Gattini, fornisce un valido esempio di insediamento provvisto di trincea. Scavata nella roccia, racchiude il “villaggio” in due grandi cerchi uniti da un passaggio. All’interno dello spazio trincerato, ci sono numerosi buchi che testimoniano i pali di fondazione delle capanne, e fosse utilizzate come depositi. Lungo la trincea fu realizzata in epoca successiva la monumentale “tomba a doppio cerchio”, esempio ancora intatto della tipologia “a grotticella”, che prevede una piccola cavità artificiale circondata da un doppio circolo di pietre.

Chiese Rupestri

Si tratta di luoghi di culto scavati nella roccia, risalenti a diverse epoche e presenti in numero considerevole (ne sono state catalogate fino a 150) sia nei Sassi che nel territorio materano. Non si tratta di grotte naturali, simili a caverne, ma di vere e proprie architetture scavate, che nulla hanno da invidiare alle architetture costruite, ed anzi spesso ne simulano forme, struttura e decorazioni: cupole, matronei, colonne, lesene, absidi, iconostasi, fonti battesimali, confessionali, altari: tutto è ricavato nell’opera di scavo, con un procedimento che spesso viene definito “architettura in negativo”, dove si toglie dal pieno anziché costruire.
Una tesi ormai superata e priva di ogni fondamento riteneva fossero state scavate da monaci orientali eremiti, ma in realtà ogni chiesa rupestre presenta genesi e vicissitudini proprie, tutt’altro che avulse dal contesto storico locale, esattamente come per le chiese costruite. Molte conservano ancora la decorazione pittorica originale, nonostante quasi tutte siano state riutilizzate con altre destinazioni d’uso. Si tratta in prevalenza di affreschi medievali raffiguranti singole icone di santi, pur con importanti eccezioni con scene e cicli, opera di maestranze locali e meridionali, spesso di fattura pregiata.

Il ciclo di affreschi più antico e rappresentativo del territorio rappresenta la Genesi, risale circa all’ 830 d.C, epoca di dominio longobardo della città ed è steso sulle pareti della cosiddetta Cripta del Peccato Originale, fuori dalla città. Nel cuore dei Sassi svetta il Monterrone, un’emergenza rocciosa al cui interno sono scavate Madonna de Idris e San Giovanni in Monterrone, che conservano pregevoli affreschi rappresentativi della tipologia medievale delle icone. Un’ottima idea della complessità delle architetture scavate è fornita dalle chiese di Madonna delle Virtù con i suoi pilastri quadrilobati e matronei simulati sulla volta, da Santa Lucia alle Malve, ricca di archi pensili, nicchie e cupolette e da Santa Barbara, che conserva intatta l’iconostasi scavata. Il destino di riutilizzo comune a quasi tutti questi luoghi è ben testimoniato dal Convicinio di Sant’Antonio, un articolato complesso di 4 luoghi di culto comunicanti, trasformati in cantine nel Settecento, dove i palmenti per il vino convivono con affreschi trecenteschi. L’unico luogo di sepoltura aperto al pubblico è negli ipogei di San Pietro Barisano, con le cosiddette catacombe a scolare, dove i defunti erano disposti su sedili intagliati nella roccia.

La più monumentale delle chiese rupestri è la Madonna della Vaglia, poco fuori città, dotata di 4 portali e 3 navate absidate, ma attualmente chiusa al pubblico. Madonna delle tre porte, nel Parco della Murgia materana, fu testimone dell’episodio più eclatante avvenuto in una chiesa rupestre nell’ultimo secolo, avendo subito il furto della quasi totalità dei suoi affreschi, recuperati poi grazie ad indagini accurate e rocambolesche di Francesco Foschino.

Casali Rupestri

Durante l’epoca di dominio bizantino (IX-XI), le politiche fiscali favorirono il popolamento delle campagne: vennero così costituendosi piccoli nuclei abitati nell’agro, i casali, che riunivano strutture residenziali e produttive e che furono abbandonati già nel corso del Duecento. Fra questi insediamenti rurali, si rinvengono ancora oggi molti casali rupestri, che si sono ben conservati proprio in quanto scavati nella solida roccia. All’interno dei casali si possono facilmente riconoscere grotte appartenenti alle diverse tipologie che descriviamo in questa pagina, dai luoghi di culto alle case, ai luoghi di produzione. Non dimentichiamo come alcuni di questi casali, prossimi al nucleo urbano, costituirono le cellule primordiali dei rioni Sassi.
Il più completo e rappresentativo dei casali rupestri è il “Villaggio Saraceno”, che prende il nome dalla famiglia Saraceno cui apparteneva, e dista circa 10 km dai Sassi. Ci sono oltre 90 grotte, allineate lungo una piccola valle affluente della gravina. Fra queste, spiccano la chiesa di Santa Maria al Visciolo (già conosciuta come San Luca), l’esempio meglio conservato di chiesa rupestre dell’XI secolo, e tipici esempi di dimore, percorsi e cisterne dei casali. I sentieri che vi conducono non sono segnalati, ma l’escursione è agevole con l’aiuto di una guida.

Cisterne

La roccia che compone l’altopiano delle murge, per la sua porosità, non consente corsi d’acqua superficiali. Pertanto in passato per disporre di acqua tutto l’anno, è stato necessario realizzare vasche, cisterne e serbatoi. Elementi comuni a tutte le cisterne sono lo scavo nella roccia e l’impermeabilizzazione ottenuta con il “coccio pesto”, uno speciale intonaco a base di terracotta frantumata. Per dissetare gli animali in zone rurali venivano realizzate all’aperto le “cisterne a tetto”, che raccoglievano acqua piovana ed erano dotate di una piccola vasca di decantazione. In ambito urbano e per il consumo umano si utilizzavano le “cisterne a campana”, che erano strutturate in modo da permettere un ingegnoso sistema di filtraggio dell’acqua piovana tramite il “troppo pieno”: l’acqua tracima da una cisterna alla successiva decantando man mano. A queste cisterne private si aggiungevano le monumentali cisterne pubbliche, chiamate “palombari”, dalle dimensioni colossali e alimentate quasi sempre anche da acqua sorgiva.
Le cisterne a tetto sono molto diffuse nel Parco della Murgia, anche nei pressi di Jazzo Gattini.
Il complesso di San Giorgio offre un istruttivo esempio di cisterne a campana di una dimora privata. Qui percorsi realizzati appositamente permettono di entrare nelle cisterne e di osservare da vicino il sistema di filtraggio, l’intonaco e le bocche di attingimento. L’assenza di pavimento consente di vedere anche le canalette di collegamento.
Il Palombaro lungo, sotto Piazza Vittorio Veneto, rappresenta la più imponente cisterna pubblica della città. Ha una capacità di 5 milioni di litri d’acqua per una profondità di 18 metri ed una lunghezza di 50 metri, distribuiti in una forma sinuosa e inusuale, in quanto risultato dell’accorpamento di ambienti ipogei preesistenti. Esplorata per la prima volta solo nel 1991, e quasi interamente svuotata per permetterne l’accesso, oggi si visita camminando su una passerella sospesa sull’acqua.

Castello Tramontano

Un castello di epoca normanna sorgeva all’interno della civita, nell’area denominata oggi Castelvecchio, ma non vi sono più tracce riconoscibili di tale struttura. Fuori dalla città antica, in posizione dominante, sorse nel 1514 il Castello Tramontano, costruito per volere del conte napoletano Giancarlo Tramontano e mai portato a termine a causa  della sua uccisione avvenuta a seguito di una sommossa popolare.
Questo episodio è fra i più importanti nella tradizione storica della città: il conte è descritto come un despota che affama il popolo, che pertanto lo uccide nei pressi della Cattedrale (dove il conte sarebbe stato sorpreso disarmato), in una via che prenderà il nome di Via Riscatto, nome che conserva tuttora.
Motivazioni di carattere politico ed economico, specie della nobiltà locale, furono in realtà alla base della sua uccisione e della successiva damnatio memoriae. Il Castello è oggi circondato da un grande parco urbano adibito anche a concerti e si struttura in tre torrioni, di cui il centrale funge da maschio. Oggetto di recupero, non è al momento visitabile internamente.

Chiese

Le principali chiese cittadine costruite appartengono a due periodi storici: Romanico (Duecento) e Barocco (Settecento). La Cattedrale è un’eccezionale sintesi di entrambi: fu portata a termine nel 1270 secondo i canoni del Romanico pugliese, come è evidente osservando l’esterno: il tetto a capanna, il grande rosone centrale, i portali, le sculture zoomorfe; l’interno risulta invece barocco a seguito degli interventi realizzati nel Settecento, come evidenziano gli altari in marmo, le decorazioni in oro zecchino, il controsoffitto dipinto, che hanno celato gli arredi precedenti, ad esclusione di un monumentale presepe in pietra locale datato 1534. Difatti, rimuovendo parte degli arredi barocchi, sono stati rinvenuti affreschi trecenteschi fra cui una coinvolgente raffigurazione del Giudizio Universale.

Massimo esempio cittadino, tuttora integro, della fiorente stagione romanica materana è l’imperdibile chiesa di San Giovanni Battista. La sua ricca e insolita facciata principale era un tempo la facciata laterale, e difatti l’esterno dell’abside, con grifoni ed elefanti, è visibile subito di fianco. L’interno è indimenticabile: presenta alte volte a crociera sorrette da colonne quadrilobate, queste sono sormontate da due livelli di elaborati capitelli, ornati con figure fantastiche e motivi vegetali: l’insieme offre un’atmosfera raccolta e suggestiva.
La stagione del barocco materano interessa soprattutto la zona del piano, pur se anche i Sassi ne presentano importanti esempi (Sant’Agostino, San Pietro Barisano e in parte San Pietro Caveoso). Fa pensare subito al “barocco leccese” l’elaborata facciata di San Francesco d’Assisi, con la Vergine al centro sormontata da una corona con un finto panneggio, i santi francescani per eccellenza ai suoi lati (S.Francesco e S.Antonio da Padova) e arabeschi fiammeggianti alla base. La costruzione più sorprendente è invece la chiesa del Purgatorio, che dà inizio all’asse barocco di Via Ridola. Ha una insolita facciata curvilinea divisa in due piani. L’attenzione è subito catturata dagli elementi macabri quali teschi, femori, scheletri, ossa incrociate, che rimandano al memento mori: qui si pregava per la salvezza delle anime del purgatorio. Al livello superiore, campeggiano angeli custodi, corone di fiori e la Vergine. L’interno sorprende per la ricchezza delle decorazioni, fra cui spiccano tele sulla passione di Cristo, l’alta cupola ottagonale, un pregevole organo settecentesco e raffigurazioni di anime purganti avvolte dalle fiamme.